Lo straniero e le frontiere ~ Un filosofo al cinema
Un filosofo al cinema indaga il presente interrogandosi e interrogandoci sulle nostre identità plurime; sull’esperienza dei limiti imposti alla vita dell’uomo; sul valore del limite su cui questi si sporge, come su un abisso, o una soglia da attraversare.
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WELCOME
Lunedì 17 ottobre 2016 ~ ore 10.00
Introduce il film Prof. Umberto Curi
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Regia: Philippe Loiret
Nazione: Francia
Anno: 2016
Durata: 110 min
Genere: Drammatico
Cast: Vincent Lindon, Firat Ayverdi, Audrey Dana, Derya Ayverdi, Thierry Godard, Selim Akgül
Riconoscimenti:
- Festival di Berlino 2009 – premio della giuria ecumenica
- Premio LUX 2009 del Parlamento Europeo
- Festival di Varsavia 2009 – premio del pubblico
- Premio Lumière 2010
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Trama: Il giovane iracheno Bilal attraversa l’Europa da clandestino nella speranza di raggiungere la sua ragazza da poco emigrata in Gran Bretagna. Arrivato nel nord della Francia, diventa amico di Simon, un istruttore di nuoto, con cui inizia ad allenarsi per un obiettivo apparentemente irrealizzabile: attraversare la Manica a nuoto per ritrovare il proprio amore.
Umberto Curi
è uno dei principali filosofi italiani. Professore emerito di Filosofia Moderna e Contemporanea presso l’Università di Padova, ha sondato il rapporto fra filosofia e scienza, fra amore e filosofia e fra filosofia e guerra. Membro dell’International Society of Art and Science, ha tenuto seminari e conferenze presso molte università europee ed americane. Fra le numerosissime pubblicazioni ricordiamo: “Xenos. Filosofia dello straniero” (2002), “Un filosofo al cinema” (2006), “La porta stretta. Come diventare maggiorenni” (2015).
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Bilal, giovane curdo, ha lasciato il suo paese alla volta di Calais, dove sogna e spera di imbarcarsi per l’Inghilterra. Dall’altra parte della Manica lo attende un’adolescente che il padre ha promesso in sposa a un ricco cugino. Fallito il tentativo di salire clandestinamente su un traghetto, Bilal è deciso ad attraversare la Manica a nuoto. Recatosi presso una piscina comunale incontra Simon, un istruttore di nuoto di mezza età prossimo alla separazione dalla moglie, amata ancora enormemente e in segreto. Colpito dall’ostinazione e dal sentimento del ragazzo, Simon lo allenerà e lo incoraggerà a non cedere mai ai marosi della vita. A sua volta Bilal aprirà nel cuore infranto di Simon una breccia in cui accoglierlo. Ma il mondo fuori è avverso e inospitale e l’uomo dovrà sfidare le delazioni dei vicini di casa e la legge sull’immigrazione che condanna i cittadini troppo umani e “intraprendenti” col prossimo.
Premiato dal pubblico a Berlino e campione di incassi in Francia, Welcome è un racconto morale che si interroga sul concetto di alterità e in cui è facile riconoscere i canoni dell’attualità. Polemizzando con la legge sull’immigrazione voluta da Sarkozy, che infligge sanzioni severe ai residenti colpevoli di cuore con la straniero, Philippe Lioret mette al centro del suo film l’Altro, un corpo estraneo da sfruttare o da espellere, senza una vera possibilità di integrazione. Come aveva già fatto con Tombés du ciel, film d’esordio del 1994, il regista francese riconferma la sua attenzione per la mercificazione delle vite nel complessivo processo di disumanizzazione dell’Europa contemporanea. Welcome, storia d’amore e di amicizia tra un uomo e un ragazzo, affronta con lirismo la realtà nelle sue manifestazioni più crude, disumane e inaccettabili. La sopraffazione del più debole è analoga a tutte le latitudini, compresa la democratica e “rivoluzionaria” Francia che “ospita” una teoria di convivenze rese difficili dai codici sociali e da paure ingiustificate. La coscienza collettiva è assente o rallentata da egoismi, bassezze e diffidenze, che sono l’humus in cui cresce e prospera l’intolleranza di una comunità verso una minoranza. Il coraggio del singolo, incarnato e interpretato da un intenso e dolente Vincent Lindon, sembra allora essere l’unica speranza contro la violenza delle istituzioni, raccontata non come attrito deflagrante ma come forza di inerzia, attraverso un logorio costante tra i personaggi.
Nella livida immobilità di fondo entrano in contatto e dialogano un uomo e un ragazzo, suggerendo un movimento paterno dell’uno verso l’altro e diminuendo “a bracciate” le distanze tra le parti. Il punto di incontro tra Simon e Bilal è rappresentato dall’acqua, elemento primitivo che innesca autentiche dinamiche relazionali e allo stesso tempo attende e accoglie la risoluzione del dramma. Il giovane curdo, in cerca di una patria e di un amore, è per il francese l’annuncio di una possibilità, la possibilità di ogni essere umano di ritrovare se stesso e l’altro.
mymovies.it
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VERGINE GIURATA
Lunedì 7 Novembre 2016 ~ ore 20.30
Introduce il film Prof. Emanuele Mariani
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Regia: Laura Bispuri
Nazione: Italia-Albania
Anno: 2015
Durata: 90 min
Genere: Drammatico
Cast: Alba Rohrwacher, Lars Eidinger, Flonja Kodeli, Luan Jaha, Bruno Shlaku, Ilire Celaj
Riconoscimenti:
- Globo d’oro 2015, miglior opera prima
- Hong Kong International Film Festival Golden Firebird Award 2015
- Tribeca Film Festival Premio Nora Ephron 2015
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Trama: Hana è una bambina che cresce sulle montagne albanesi, dove vige una cultura arcaica, maschilista, basata sull’onore, che non riconosce alle donne alcuna libertà; padri, fratelli e mariti hanno su figlie, sorelle e mogli un vero e proprio potere di vita e di morte. Per sfuggire al suo destino Hana si appella proprio alla legge della sua terra, il Kanun: giura di rimanere vergine, prende il nome di Mark e si fa uomo, ottenendo così gli stessi diritti dei maschi, ma rinunciando alla sua femminilità e ad ogni forma di amore. Un rifiuto che diventerà la sua prigione. Ma qualcosa di vivo si agita sotto alle nuove vesti e questo sarà l’inizio di un viaggio a lungo rimandato.
Emanuele Mariani
è nato a Faenza nel 1976. Laureato all’Università di Bologna, è dottore di ricerca in filosofia presso l’Université Paris-Sorbonne e l’Università del Salento (Lecce). Sotto la direzione di J.-L. Marion de l’Académie française, le sue ricerche dottorali si sono concentrate sulla tradizione aristotelica della fenomenologia e sul concetto di “analogia” in un rapporto di continuità con il progetto filosofico di Enzo Melandri, al cui pensiero era stata consacrata la tesi di laurea presso l’Università degli Studi di Bologna. Nel 2011 ha vinto il “Premio Sainati” che gode del sostegno del Presidente della Repubblica e del patrocinio dei Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati. A questo riconoscimento è seguita la pubblicazione del volume “Nient’altro che l’essere” (ETS, Pisa 2012). In seguito a un periodo d’attività post-dottorale, Emanuele Mariani è ora ricercatore di ruolo presso l’Universidade de Lisboa dove continua a occuparsi del pensiero fenomenologico tedesco, francese e italiano.
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Hana, orfana albanese, viene accolta in casa da Gjergi, un montanaro con moglie e una figlia più o meno dell’età della ragazza, Lila. Ma la cultura arcaica che abita quelle regioni, seguendo il severo codice del Kanun, mortifica e reprime il femminile, e Hana si ritrova a compiere una scelta drastica: diventare una vergine giurata, ovvero giurare verginità eterna e assumere un’identità maschile. Da quel momento sarà Mark e condurrà la sua vita come un uomo, ovvero con maggiore autodeterminazione, ma al prezzo di un rifiuto radicale della propria femminilità. Molti anni dopo Mark si reca in Italia, dove ritrova Lila. Nessuno sa il perché della sua venuta, ma a poco a poco, in contatto con una cultura più aperta, Mark ritroverà in sé le tracce di Hana.
Vergine giurata, lungometraggio d’esordio di Laura Bispuri, già David di Donatello per Passing Time e Nastro d’Argento per Biondina, esplora il tema dell’identità, non solo di genere, attraverso immagini essenziali, e allo stesso tempo rigogliose: i corpi sono descritti da vicino con un’intimità fisica quasi disturbante – carne, macchie, muscoli, pieghe della pelle.
La regia di Bispuri ha una qualità ipnotica, soprattutto durante le sequenze acquatiche che stanno diventando un suo “marchio di fabbrica”. I dialoghi sono ridotti all’osso, ma la storia è resa esplicita dalla limpidezza della narrazione e dalla recitazione intensa e rigorosa di Alba Rohrwacher, interprete di una femminilità di confine priva di vanità ma non di sensualità segreta.
La cinepresa che soffia sul collo dei personaggi, inseguiti da dietro, ricorda lo stile “documentario” dei Dardenne, e quella del “film di realtà” è evidentemente una scelta narrativa: non a caso Vergine giurata è prodotto, tra gli altri, da Vivo Film, che da sempre predilige questo genere. Ma l’appeal carnale delle immagini ricorda soprattutto l’opera di Lucrecia Martel, la regista argentina che ha raccontato la femminilità, soprattutto adolescente, in modo magistrale in La ciénaga e La niña santa (dove l’acqua assumeva la stessa valenza amniotica che ha in Vergine giurata). Entrambe le registe maneggiano con disinvoltura gli elementi naturali, e non hanno paura di ciò che può apparire osceno o imbarazzante. Attraverso di loro, la conoscenza del corpo e dell’animo femminile si fa forma filmica, e accende un altro riflettore su una realtà diversa (sommersa?) ancora poco vista al cinema.
mymovies.it
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Parte della rassegna “I nuovi confronti d’autunno 2016: Lo straniero e le frontiere”
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