Pulp Iran ~ Il nuovo cinema persiano
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A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT
Martedì 6 dicembre 2016 ~ ore 21.00
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Regia: Ana Lily Amirpour
Nazione: USA
Anno: 2014
Durata: 101 min
Genere: Drammatico
Cast: Sheila Vand, Arash Marandi, Marshall Manesh, Mozhan Marnò
Riconoscimenti:
- Bucharest International Film Festival 2015 – in concorso
- Bucharest International Film Festival 2015 – Menzione speciale della giuria
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Trama: Le cose strane si muovono a piedi a Bad City. La città iraniana dei fantasmi, è il rifugio delle prostitute, dei tossici e dei magnaccia e di tutte le anime perverse. È un luogo che puzza di morte e senza speranza, dove un vampiro solitario minaccia gli sgradevoli abitanti della cittadina. Ma quando un ragazzo incontra una ragazza, inizia a sbocciare una anomala storia d’amore… rosso sangue.
[su_spoiler title=”Premi per mostrare la recensione al film” style=”fancy”]
Una ragazza si trucca nella sua stanza, svelando al nostro sguardo la sua bellezza, all’esterno coperta dal chador. Solitaria, la ragazza di notte va in giro in skateboard per le vie di una città iraniana immaginaria – o meglio, costruita sull’immaginario: un immaginario occidentale e molto cinematografico. È una ragazza dal morso letale, una vampira. L’intuizione che da sola basta a rendere interessante A Girl Walks Home Alone at Night è quella di fare del chador nero un mantello da vampiro, trasformando in strumento di rivalsa un elemento emblematico, in tutta la sua ambiguità, della dimensione femminile nel mondo islamico. Il chador, visto qui evidentemente come strumento di subordinazione, è trasformato nel corredo di un potere occulto e inaspettato, sia per lo spettatore, sia per le malcapitate vittime della ragazza. Che, s’intende, son tutte, chi più chi meno, meritevoli della sorte che le attende. Perché la città per la quale la ragazza si aggira di notte è Bad City, popolata di reietti, spacciatori e sfruttatori di prostitute: quanto basta per renderla prossima più a una Sin City o a una Gotham City, che non a Teheran o Esfahan.
A Girl Walks Home Alone at Night, esordio nel lungometraggio della regista di origine persiana Ana Lily Amirpour, è in realtà un film americano. Amirpour (classe 1980), nata in Inghilterra, è cresciuta negli Stati Uniti e ha studiato da regista in California. Gli interpreti – a partire dalla protagonista Sheila Vand – sono di nazionalità americana pur essendo anche loro di origine persiana. Ma il film, che è girato in California in un conturbante bianco e nero, è parlato in farsi: tanto è accurata la mimesi necessaria a spaesare lo spettatore calandolo in un contesto che sia quanto più possibile iraniano.
Figlio però di un immaginario cinematografico occidentale, ben temprato in tono indie, ammantato di un’aura autoriale sin dalla scelta del bianco e nero e della lingua, A Girl Walks Home Alone at Night va ad aggiungersi alla schiera di film che negli ultimi anni rilanciano lo statuto qualitativo del filone vampiresco, sfruttandone le potenzialità e la grande duttilità, capace di adattarsi ad ogni stile e contesto. E dal momento che si basa su un precedente e omonimo corto della stessa regista del 2011, è solo una coincidenza se il film ricorda parecchio – per la modalità con cui si approccia al soggetto, per le atmosfere e i ritmi narrativi – Solo gli amanti sopravvivono di Jarmusch (2013).
Amirpour ha voluto definire il film “the first iranian vampire spaghetti western”, e al di là della trovata autopromozionale, l’etichetta coglie nel segno: ammette l’origine cinefila del film e chiama giustamente in causa il western, le cui coordinate, al pari del noir urbano, sono uno dei riferimenti del film. Semmai, suona un po’ strano il riferimento agli spaghetti western, dal momento che le caratteristiche dilatazioni temporali del genere non dovrebbero essere più sufficienti per scomodare Sergio Leone.
Di fronte a un film come A Girl Walks Home Alone at Night il rischio è quello di farsi troppo severi per “smascherare” un “finto” film persiano come un mero prodotto da Sundance. Non si tratta, infatti, di un film iraniano che parla della condizione femminile nel mondo islamico utilizzando codici occidentali in un’era in cui questi ultimi sono (o si pensano) globalizzati, quanto di un film americano che guarda all’Iran partorito con sensibilità femminile da una regista di origine persiana che non può non guardare all’Iran con una particolare sensibilità.
Al di là del fascino innegabile del film, occorre perciò riconoscerne la sincerità di fondo, che si accompagna alla bella intuizione di partenza e la sorregge grazie a uno stile di regia maturo. Non siamo, insomma, di fronte a qualcosa di epocale, ma nemmeno a uno specchietto per le allodole o a un falso mito che non dovrebbe meritare il culto di cui, in realtà, è già stato fatto oggetto anche qui in Italia.
cineforum.it
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A DRAGON ARRIVES!
Martedì 13 dicembre 2016 ~ ore 21.00
Proiezione in lingua originale sottotitolata in italiano
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Regia: Mani Haghighi
Nazione: Iran
Anno: 2016
Durata: 107 min
Genere: Drammatico
Cast: Amir Jadidi, Homayoun Ghanizadeh, Ehsan Goudarzi, Kiana Tajammol, Ali Bagheri
Riconoscimenti:
- Berlin International Film Festival 2016 – in concorso
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Trama: Il detective Babak Hafizi sta per essere interrogato dalla polizia segreta. Ogni cosa ha avuto inizio il 23 Gennaio 1965, il giorno dopo l’attentato al primo ministro davanti al Parlamento. Hafizi è stato incaricato di indagare sul sospetto suicidio di un esule politico prigioniero nella remota isola di Qeshm, nel Golfo Persico. Su una nave abbandonata vicino al vecchio cimitero nel deserto, Hafizi è attirato da un mistero ancora più grande. Il becchino del luogo gli parla della leggenda di un terremoto che si scatena ogni volta che qualcuno è sepolto nel vecchio cimitero. Vedere per credere. Hazifi decide di passare una notte da solo nella misteriosa nave. Aspettando che la terra si muova. Tornato a Teheran, Hafizi è determinato a scoprire la verità sulla sua terrificante esperienza anche senza l’approvazione dell’Agenzia.
[su_spoiler title=”Premi per mostrare la recensione al film” style=”fancy”]
Persia, 1965: una Chevrolet Impala arancione sbarca sull’isola di Qeshm, nel Golfo Persico. A guidarla è il detective Babak Hafizi, giunto sul posto per indagare sul suicidio di un detenuto politico al confino. Dopo aver constatato che in realtà è stato ucciso, lo fa seppellire nel vecchio cimitero in mezzo al deserto, vicino al relitto di una nave del XVII secolo, e assiste incredulo all’avverarsi delle parole del becchino del luogo: ogni volta che si seppellisce qualcuno in quella terra, si scatena un terremoto. Per risolvere questo e altri misteri, Babak torna sull’isola all’insaputa dei servizi segreti, con un geologo e un ingegnere del suono che lavora nel cinema.
Da una premessa tanto bizzarra prende il via un film affascinante e misterioso come il Manoscritto trovato a Saragozza, in certi punti arcano per lo spettatore non iraniano ma coinvolgente come pochi. Intitolata A Dragon Arrives! in un dichiarato omaggio dell’autore a Bruce Lee, che non ha punti di contatto con la trama, la storia nasce nella mente del regista dalla strana esperienza di un fonico che, dopo essersi inoltrato nelle vecchie grotte nel Sud dell’Iran, cadde in un crepaccio e quando fu ritrovato disse di aver visto una strana creatura nel sottosuolo, che gli aveva insegnato a parlare tedesco (cosa che provò recitando un poema di Holderlin). Mani Haghighi, regista esperto al suo quinto film, mescola leggenda, storia del suo paese, paranoia e realtà in una location di raro fascino, dove ti puoi aspettare veramente di tutto. Forse la parte che noi occidentali cogliamo meno è quella coi riferimenti ai servizi segreti e alla terribile Savak, la polizia segreta iraniana che operava ai tempi dello Scià.
Ma questo non impedisce di godere di un film pieno di sorprese, come quando all’improvviso (e forse in modo un po’ incongruo) ci troviamo trasportati in epoca contemporanea all’interno di un (finto) documentario sui fatti a cui fino ad allora abbiamo assistito o vediamo delle scene di The Brick and The Mirror, girato tra il 1964 e il 1968 – quando è amboentata la storia, di cui diventa parte – da Ebrahim Golestan, famoso regista del cinema iraniano, nonno di Haghighi. Tra i lamenti strazianti dei cammelli che ricordano i versi di creature mitologiche, una gigantesca nave forse infestata dagli spiriti dei prigionieri decapitati secoli prima e sepolti in un inquietante cimitero (uno splendido lavoro di scenografia), scavi proibiti e misteri da non portare alla luce, A Dragon Arrives! riesce a conquistarci, imprimendoci nella retina immagini di rara bellezza e nelle orecchie la colonna sonora di Christoph Rezai, una delle più affascinanti e particolari che abbiamo mai sentito, coi suoi ritmi selvaggi e animaleschi (va sottolineata l’estrema attenzione alla musica e al sonoro).
Sono belli anche i personaggi, ben caratterizzati dai loro interpreti: l’interrogatore, l’ambiguo e pericoloso uomo col cappello e le lenti spesse, l’ingegnere del suono hippy, il geologo con le sue strumentazioni artigianali, il detective abbigliato all’americana e tutti i ruoli di contorno, per quanto piccoli. A Dragon Arrives! è uno di quei film il cui fascino risiede proprio nel suo mistero, che non chiede di essere compreso e spiegato ma vissuto e ci rimanda al lato più fiabesco della cultura iraniana, che Haghighi con grande sapienza innesta sul vissuto storico del suo paese, riuscendo a parlare dell’oggi attraverso metafore e racconti di un passato che ormai non può più fare del male a nessuno.
comingsoon.it
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In collaborazione con il cineclub Il Raggio Verde
Prezzi | |
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Intero | 6,50 € |
Ridotto | 5,50 € |
Soci Cineclub Il Raggio Verde | 5,00 € |
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